Finding Molise :)

Ebbene si, ogni tanto si va anche in giro in moto e si scrive qualcosa 🙂
Dopo che il tour programmato lo scorso anno è saltato per cause di forza maggiore, all’inizio del 2019 ho iniziato a controllare il calendario per vedere di accaparrarmi uno dei primi “ponti” disponibili.
Quando ho visto che con soli 3 giorni di ferie (chieste a febbraio, per farvi capire come stavo messo) sarei riuscito ad unire il periodo 25 Aprile-I Maggio, ho immediatamente iniziato a sbirciare la cartina per trovare una meta.
Dopo aver valutato un po’ di opzioni e aver buttato lì la destinazione anche un po’ per gioco, abbiamo deciso di arrivare fino in Molise, “per controllare se esiste”, come recita la famosa battuta che smette di far ridere dopo la seconda volta che la senti (e già una me la sono giocata).. 🙂
La novità è che Teresa ha voluto smettere i panni della zavorrina per venire con la sua Alpetta, una moto tuttofare ma certo non adattissima a percorrenze chilometriche esagerate, cosa che ci ha fatto ridimensionare un po’ le tappe giornaliere senza tuttavia farci perdere molto in termini di piacere.. il viaggetto ce lo siamo goduti alla grande 🙂
E così siamo transitati da Rieti, dai laghi del Turano e del Salto, abbiamo attraversato il parco d’Abruzzo (senza avvistare orsi, nonostante i cartelli), il parco del Matese in Campania (una bella scoperta!) per poi approdare in Molise, passare da Civitanova del Sannio (paese di Antonio Cardarelli), da Pietrabbondante, da Capracotta, attraversare l’Abetaia di Pescopennataro e risalire a Sulmona, attirati dai confetti (ottimi, devo ammettere).
Non potevamo farci mancare, nonostante le previsioni meteo discutibili, una capatina al ristoro del Mucciante per fare una scorpacciata di Arrosticini e bistecchine di pecora, per poi ripartire sotto la neve, transitare in mezzo alla nebbia e arrivare a L’Aquila (che coraggiosamente piano piano risorge) sotto una pioggia battente.
Un bel pranzo nel cuore ferito di Amatrice ci ha accompagnato all’ultima tappa prima del rientro, Spello, uno dei borghi più belli d’Italia.
Un bel giro, ad andatura rilassata su strade spesso secondarie e poco transitate, con l’Alpetta che se l’è cavata alla grande e Teresa con il sorriso perenne per il suo primo, vero viaggio di una certa consistenza.

Piccoli flashback:

Rieti (Lazio)
Il pernotto a palazzo Palmegiani in una dimora “da sogno” (come direbbe il Flavio nazionale), la birra sorseggiata affacciati sul fiume Velino osservando le anatre tra i resti del ponte Romano, la pessima cena in un posto che ricordava una lavanderia piena di panni sporchi.

Castel di Tora (Lazio)
Il pranzo al bar Dea gestito da una folkloristica signora che ci ha riempito di cibo come una nonna, chiamava il marito cuoco “Freddie Mercury” (vagamente ci assomigliava, ma solo per i baffoni) e gli avventori indistintamente “pellegrini”.

Pescasseroli (Abruzzo)
La meravigliosa strada con i cartelli che indicano la presenza degli Orsi (ma sul serio?).
L’alloggio in un vecchio Hotel (molto vecchio) dove lavora un ragazzetto logorroico della provincia di Isernia dagli occhi chiari e la carnagione molto pallida, il centro storico animato di gente, i negozietti e lo shopping, per cena la zuppa di legumi al pub.

Lago del Matese (Campania)
Ritrovarsi per caso sulle sponde del lago carsico più alto d’Italia a guardare i cavalli pascolare liberi.

Civitanova del Sannio (Molise)
Arrivare intorno alle 14:20 in un paese totalmente deserto e riuscire a stirarsi il tendine del dito medio per registrare la catena della moto.
Socializzare con l’anziana farmacista che ci ha raccontato la storia di Leone, il cane mascotte del paese, stravaccato sull’ingresso.
Cenare in una piccola trattoria senza clienti come se l’avessimo prenotata tutta per noi.

Pietrabbondante (Molise)
I resti del teatro sannitico con la splendida vista sulla valle del Trigno.

Sulmona (Abruzzo)
Le moto parcheggiate brutalmente nell’atrio dell’antico palazzo in corso Ovidio in barba alle ZTL, i festeggiamenti del patrono San Panfilo osservati sorseggiando birra in un bar del centro, il senso di smarrimento nel negozio di confetti (e liquori).

Ristoro Mucciante (Abruzzo)
Il banco della macelleria che ti accoglie all’ingresso, l’ordinata anarchia degli avventori intorno alle braci, i racconti scambiati davanti ai piatti ricolmi di arrosticini.
Separarsi dal ritrovo caldo ed accogliente per rimettersi il casco ed infilarsi in mezzo alla neve ed alla nebbia.
L’Aquila (Abruzzo)
Il freddo, tanto.
Gli enormi palazzi chiusi in gabbie metalliche, la vita che scorre lenta ma presente nei locali del centro. Il caldo ed accogliente alloggio all’interno del palazzo Zuzi, con i termosifoni totalmente occupati dal nostro abbigliamento fradicio. La colazione improvvisata con pan carrè e zucchero.
La scoperta del bauletto dell’alpetta invaso dall’olio motore (portato per il rabbocco) e la successiva pulizia con prodotti di fortuna e spray a caso.
Spello (Umbria)
Raggiungere l’alloggio (modesto, molto modesto) passando dalle ripide e scivolose stradine lastricate di pietra del centro (grazie navigatore infame!). Scegliere accuratamente per cena un posto apparentemente innocuo e farsi spennare come turisti americani qualsiasi.
Il bel gattone tigrato che è venuto in cerca di coccole prima della partenza…
-“e questo bel gatto come si chiama?”
-“…gatto!”

-Qui- trovate le foto del giretto scattate da me, -Qui- invece quelle di Teresa 🙂

giro_molise

Life goes on..

Eccomi qua, ci sono ancora.
E’ trascorso un sacco di tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa, ed avrei voluto tornare a riempire queste righe con il resoconto e le immagini di un bel viaggio, come quello che avevamo pianificato e che avrebbe dovuto portarci in Romania.
Come avrete intuito dalle righe sopra, il viaggio non è mai partito: purtroppo pochi giorni prima della partenza mio padre è venuto a mancare improvvisamente.
Un cazzotto in pieno viso, senza girarci intorno.
E il viaggio saltato è stato per un po’ l’ultimo dei miei pensieri, ad essere sincero.
Ma poi, necessariamente e giustamente, la vita ricomincia a (s)correre, piano piano si guarda di nuovo avanti, e il pensiero inevitabilmente va alle cose che ci fanno stare bene.
Questo comporta anche il trovarsi a dover prendere qualche decisione a proposito del mezzo motorizzato.
Come molti sapranno, l’indicatore dei chilometri percorsi nella strumentazione della mia fida Adventure 990 viaggia ormai spedito verso quota 140.000.
Al momento senza grossi problemi, ma il pensiero che prima o poi qualche rogna sostanziosa arrivi c’è, inutile negarlo.
E così inizi a guardarti intorno e lo sguardo va a quella che, per me, al momento sarebbe l’unica alternativa possibile, ovvero la KTM Adventure 1090R.
Stesso peso della mia 990R, sospensioni più adatte all’offroad rispetto alla vecchia 1190, elettronica presente ma non troppo invasiva (per capirsi, niente sospensioni autoregolanti, tappi della benzina elettrici e ammennicoli vari) ed ormai ben collaudata, consumi minori (non che ci voglia molto, purtroppo 😀 )..
Insomma, decisamente una valida sostituta.
Devo dire che ci ho provato, non mi nascondo.
Ma al momento di chiudere il cerchio, è partito l’inevitabile derby fra la parte razionale e quella emotiva del mio cervello.
La parte razionale aveva un sacco di assi da giocare, fra cui un motore decisamente più performante, il minore consumo e la maggiore autonomia (vero tallone d’achille della 990), e il fatto che probabilmente per altri dieci anni la 1090 mi avrebbe accompagnato in giro per il mondo senza grossi problemi.
La parte emotiva, silente fino a quel punto, ha però sferrato un contropiede letale a tempo quasi scaduto.
Ovvero il fatto che si, la 1090R è una grandissima moto, ma alla fine non mi fa battere forte il cuore.
Sembra una considerazione banale, ma se metto accanto le due moto, la mia 990 mi emoziona solo a guardarla, mi fa “sangue”, l’altra mi piace ma niente più.
E alla fine, investire una barca di soldi in un mezzo che ti lascia piuttosto freddo non sarebbe una buona idea.
Mettiamo anche nel conto il fatto che ormai con la mia Adventure ho un rapporto quasi simbiotico, me la sono cucita addosso, la conosco al punto che potrei smontarla tutta in mezzo alla strada e per quanto ami trattarla bene ormai non mi faccio grossi problemi se mi cade in un bosco mentre faccio il cretino.
Beh, la partita l’ha vinta la parte emotiva.
La 990R resta con me, le farò un po’ di coccole, le regalerò un po’ di accessori (fra cui una sella più comoda, che in realtà è un regalo al sottoscritto 😀 ), le sistemo qualche inevitabile segno lasciato dallo scorrere dei chilometri, e me la godo ancora sperando che mi ricambi la fiducia.. 🙂

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…voi ce la fareste a lasciare una così? 😉

Sardegna: la rivincita :)

Inutile girarci intorno, con la Sardegna era rimasto un conto in sospeso.
Lo scorso anno, quando siamo arrivati al casello di Livorno per andare a prendere il traghetto la moto ci ha giocato un brutto scherzo, perdendo la folle e la prima marcia, giusto un paio d’ore prima della partenza.
Partenza che, alla fine e giocoforza, abbiamo dovuto posticipare al giorno successivo, ma in macchina.
Certo, la vacanza l’abbiamo fatta lo stesso, ma ogni volta che c’era da spostarsi entravo in modalità “Germano Mosconi” (se non sapete chi è cercatelo su youtube, ma tenetevi alla larga se siete ferventi cattolici) e da buon toscanaccio proferivo bestemmie tonanti, al ritmo di un paio ogni tre curve. Circa.
Alla fine il danno alla moto si è rivelato una cavolata, ma ormai la frittata era fatta.
Per tutta la vacanza mi sono sentito come se mancasse un pezzo di me. Essere lì, in mezzo a quelle curve, a quei panorami, in macchina, mi faceva sentire in gabbia.
Questa “ferita” andava sanata prima possibile.
L’occasione si è presentata quando, guardando il calendario, mi sono reso conto che con 3 giorni di ferie sarei riuscito ad attaccare insieme il 25 Aprile e il primo Maggio.
E così siamo riusciti a goderci, finalmente, un migliaio di chilometri di meravigliose strade, di gran curve, di “scorciatoie creative”, di paesaggi mozzafiato e di tutto quello che la splendida isola può offrire.
La sera del 25 ci siamo goduti la bellissima atmosfera del Bosa Beer Fest, che per tre giorni ha “invaso” le due sponde del fiume Temo con decine di birre sarde e non (quest’anno c’erano 21 birrifici, compreso uno spagnolo!), il migliore street food della sardegna, tanta allegria e tanta musica.
Il 26 ci siamo spostati poco lontano, a Fordongianus, noto per le antiche terme romane situate sulla sponda sinistra del Tirso, dove è possibile trovare anche le sorgenti di acqua calda che si immettono nel fiume. L’acqua in questione sgorga alla temperatura costante di 56 gradi centigradi per tutto l’anno. Fidatevi, la temperatura citata è reale, e immergere il piede (come ho fatto io, ndr) in una delle pozze colme d’acqua appena sgorgata non è per niente una buona idea 🙂
Meglio trovare un punto più fresco, dove la sorgente si mescola al fiume, o approfittare delle terme 🙂
Il paese è conosciuto anche per le cave di trachite (rossa, verde e grigia), una roccia di origine vulcanica molto usata per le costruzioni (ha un ottima resistenza meccanica e una notevole durezza, pur mantenendo una buona lavorabilità).
La trachite viene utilizzata anche per scolpire le statue (alcune visibili in giro per il paese) che vengono realizzate durante il simposio internazionale di scultura su pietra, che da quasi trent’anni si svolge nel paese.
Tappa successiva, dopo aver tentato (quel giorno c’erano solo visite su appuntamento) di visitare il nuraghe Nuraddeo, uno dei meglio conservati della Sardegna, Ulassai.
Situato nel cuore dell’Ogliastra, è circondato dai caratteristici massicci rocciosi di origine calcarea denominati “tacchi”.
Qui è nata e vissuta l’artista Maria Lai, le cui opere si possono ammirare sia in giro nelle strade che alla “Stazione dell’arte”.
Nei dintorni di Ulassai ci sono un sacco di cose da vedere, noi abbiamo visitato la maestosa grotta di Su Marmuri, fatto un bel po’ di passaggi nei bei tornanti che conducono a Jerzu (paese ricco di vigneti e conosciuto per la produzione del Vino Cannonau), visto da vicino il paese abbandonato di Gairo Vecchia e tentato di vedere le cascate di Lequarci.
Perché “tentato”?
Perché come recita wikipedia “Sono osservabili solo durante periodi di alta piovosità”, e di acqua in quella zona ne era caduta ben poca, purtroppo.
Siccome siamo persone sensibili e ci siamo rimasti malissimo, abbiamo pensato bene di consolarci, a cena, con della carne magnifica acquistata dal simpatico titolare della macelleria Barigau, se andate da quelle parti segnatevi il nome, e se non lo trovate in negozio affacciatevi sulla strada sottostante, probabilmente è lì a chiacchierare con gli amici 🙂
La tappa successiva è stata Tempio Pausania, la “città di pietra”, così soprannominata per il suo centro storico fatto di edifici e pavimentazioni in granito.
Purtroppo l’installazione di vele colorate ideata da Renzo Piano per abbellire piazza Faber era in manutenzione, però prima di ripartire il mattino successivo siamo riusciti a visitare (allo Spazio Faber) una bella mostra fotografica con foto inedite di De André scattate dagli abitanti di Tempio, una mostra permanente di 16 pannelli con immagini che raffigurano la vita del cantautore in Sardegna.
E ci siamo concessi una visita alla minuscola chiesetta di campagna, qualche chilometro dopo la tenuta dell’Agnata, dove Fabrizio e Dori Ghezzi battezzarono la figlia, Luvi.
Ultima tappa del soggiorno in terra sarda, San Pantaleo, raggiunto dopo aver fatto una deviazione (molto creativa, sterrato compreso) verso la costa per vedere la roccia dell’elefante (pare strano, ma nonostante i tanti viaggi in Sardegna ancora non ero passato da lì) e pranzare sul mare a Castelsardo, grazie al salame, al formaggio e al pane regalati dalla gentilissima signora del B&B dove avevamo dormito a Tempio Pausania 🙂
San Pantaleo, una piccola perla incastonata tra i picchi di granito e la modaiola Costa Smeralda, un piccolo borgo di case basse, piccole botteghe artigianali e atelier artistici, in equilibrio fra relax e bella vita in fuga dalla costa che affolla la piazzetta (circondata da  locali dai prezzi piuttosto salati) per l’aperitivo e la cena.
Rientriamo in continente sereni e leggeri, consapevoli che il conto con l’isola è finalmente pareggiato.
Torneremo ancora, e ancora, a scoprire altri mille angoli di questa terra meravigliosa, ogni volta sempre nuova.
E quel vecchio conto in sospeso resterà un ricordo su cui ridere davanti ad una birra 🙂

Qui trovate le foto, nell’immagine sotto il percorso 🙂
Questo è il sito del Bosa Beer Fest, tanto per invogliarvi ad andarci 🙂
Più in basso, il lurido bastardo piccolo perno responsabile del problema al cambio..

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Lurido, piccolo perno infame..

“Testardo” (ovvero storie di valigie addomesticate)

Come raccontavo in questo post, in seguito ad un piccolo incidente ho dovuto ricomprare le mie amate valigie di alluminio.
Un po’ per risparmiare, un po’ perché volevo provare qualcosa di nuovo, ho pensato di restare “in Italia” ed acquistare una coppia di valigie Kappa K-Venture da 37 litri per montarle sul classico telaietto tipo Givi “PL”, quello in uso da anni per le valigie in plastica.
Il problema è che non tutto è andato precisamente nel verso giusto.
Premessa: le valigie in se sembrano veramente di ottima fattura, robuste, ben rifinite, dotate di ganci per la rete portaoggetti nella parte inferiore dei coperchi e con i coperchi stessi staccabili completamente all’occorrenza.
Dal punto di vista costruttivo direi che si sono rivelate decisamente all’altezza, se non migliori, di altri marchi ben più blasonati.
Il problema è arrivato quando le ho piazzate sulla moto.
La posizione sull’Adventure è risultata completamente sbagliata.
Mi sono trovato con le valigie collocate in posizione molto avanzata e a ridosso della pedana passeggero, con pochissimo spazio per le gambe dello stesso, e tanto (troppo) inclinate in avanti.
Belle da vedere, molto aggressive, ma con un piccolissimo effetto collaterale: per via dell’eccessiva inclinazione lo spigolo posteriore delle borse eccede il livello del portapacchi, rendendo completamente impossibile l’utilizzo di una sacca a rotolo di grosse dimensioni (come quella che uso di solito per l’equipaggiamento da camping, 50 o 60 litri) collocata sul portapacchi.
E non si tratta di pochi centimetri, recuperabili con degli spessori: i centimetri di dislivello alla fine del montaggio sono ben sette!
La foto rende piuttosto bene l’idea.

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“dai, sempre a lamentarti.. se la borsa la metti in verticale alla fine ci sta!”

I nuovi telaietti a sgancio rapido forse non avrebbero presentato il problema, ma ovviamente non vengono prodotti per la Adventure 950/990.
Il surreale dialogo avuto con lo staff Kappa sulla pagina Facebook (che potete ammirare negli screenshot sotto) non ha dato alcun esito (se non quello di tenermi alla larga dai loro prodotti per i prossimi acquisti, con tutta probabilità).

Ma siccome “io sò testardo”, come recitava nel lontano 2000 un ispiratissimo Daniele Silvestri, mi sono deciso a sistemare la cosa.
Fedele al motto “chi fa da sé fa per tre”, ho inziato a pensare a come modificare i telaietti.
Dopo aver formulato varie ipotesi e razionalizzato il fatto che l’impresa si presentava disperata, almeno con metodi e attrezzature “cantinare”, ha inziato a balenarmi in testa la malsana idea di resuscitare, sistemare ed adattare allo scopo i cari vecchi telai della SW-Motech.
Peccato che uno di questi fosse uscito decisamente maluccio dall’incidente e che , in aggiunta, l’adattatore fornito con le valigie per usare i telaietti givi tipo PL non fosse  comunque utilizzabile senza modifiche (l’adattatore in questione funziona per tutte le valigie Givi/kappa con attacco monokey tranne queste e le Givi Trekker Dolomiti, per la cronaca).
Ma siccome non sono un tipo che si arrende facilmente, ho deciso di provarci comunque.
La modifica che avevo in mente era abbastanza invasiva, ma essendo i telaietti destinati alla discarica, non mi son fatto troppi problemi.
Tanto per cominciare ho raddrizzato e fatto combaciare di nuovo tutti gli attacchi rapidi con le predisposizioni da montare sulla moto (ovvero le staffe sulle pedane passeggero, sui fianchetti, sotto al portapacchi e il passante dietro alla targa), operazione compiuta con sapienti colpi di mazzetta, la presa delicata di una morsa e la precisione di un giratubi più simile ad un’arma che ad uno strumento di lavoro..
Una volta rimesso il tutto in posizione (si, insomma, più o meno), ho risaldato tutto quello che si era strappato o crepato in seguito all’urto. Sono un pessimo saldatore, quindi l’operazione ha richiesto tanta pazienza e svariate bestemmie, ma alla fine in qualche modo ce l’ho fatta. Risultato non perfetto dal punto di vista estetico, ma perfettamente funzionale, quindi missione compiuta.
Almeno la parte facile.
La parte difficile è arrivata quando è giunto il momento di far stare le valigie attaccate  ai telai.
La piastra adattatrice andava spostata leggermente in alto, e fin qui nessun problema particolare, solo due fori da fare esattamente sopra a quelli predisposti sui telai (che, ricordo, possono ospitare valigie di varie marche tramite piccoli adattatori) per le Givi.
Ma la piastrina in questione ha bisogno di spazio vuoto nella parte posteriore, per fare spazio alle sedi per le viti dello sgancio rapido.
Ci ho riflettuto un po’, dopodiché ho preso la decisione drastica, ovvero una fresa da 25mm per praticare due asole in corrispondenza delle suddette sedi.
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Pochi minuti di paura, ma alla fine il test è andato benissimo: la valigia montava perfettamente! (la folla rumoreggia stupita). 😀

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Sicuramente la struttura si è leggermente indebolita, ma quella piastrina comunque serve solo per tenere la borsa in posizione (il peso è scaricato sui perni e sulla barra nella parte inferiore), e comunque mi sono ripromesso di rinforzarla saldando una piccola traversina dalla parte opposta.
Una verniciata per rendere di nuovo presentabili i telai, et voila.
Finalmente le valigie sono tornate in una posizione normale, ed in più ho di nuovo i telaietti smontabili da poter rimuovere quando non servono.

E’ stata dura, ma alla fine ho vinto io.
Per l’appunto, “so’ testardo”.. 🙂
Ah, la canzone è questa 😉

Il GPS? Fattelo amico!

Lo ammetto, la mia passione per questo simpatico strumento ha origini lontane, da quando ancora gli apparecchi per la navigazione come li conosciamo oggi non esistevano e bisognava arrangiarsi.
Come?
Per esempio con ricevitori satellitari esterni collegati a computer palmari tramite cavi seriali autocostruiti  e software improbabili e assai limitati (anche per quanto riguarda la copertura cartografica).
Ma era bello sentirsi un po’ pionieri, lo ammetto 🙂
Adesso questi strumenti sono veramente alla portata di tutti ma non sono molte le persone che riescono a sfruttarli come si deve, e in molti non ci si avvicinano un po’ per colpa  dei pregiudizi (tipo “il GPS non serve a nulla, meglio la cartina”), un po’ per la  paura di non riuscire ad usarli.
Qualche tempo fa un mio amico, anche lui appassionato come me, decise di mettere a frutto le sue conoscenze ed organizzò un corso per principianti, che piacque molto.
Visto che da ieri ha messo a disposizione di tutti la dispensa usata per il corso, vi segnalo il post in questione su Moto-Explorer (così vi fate anche un giro sul suo sito, molto interessante) da dove potrete scaricarla in formato PDF.
Forza, correte! ^_^

Qui trovate il sito di Stefano, qui il link diretto per l’articolo.

gps

..ehm.. forse la situazione è un po’ sfuggita di mano..

“the good, the bad and the ugly”

Il titolo western è da intendersi ovviamente in senso metaforico (tranne per quanto riguarda l’ “ugly”, quello sono io ^_^ ).
“the good, the bad”, il buono e il “cattivo”, simboleggiano le cose successe in questo periodo di pigrizia che mi ha tenuto lontano dalla tastiera per un po’.
Da dove cominciamo?
Beh, dalle buone, ovviamente, “the good”.
Dall’ultima volta che ho scritto ci son state diversi eventi di cui parlare (ve li racconto brevemente, sennò vi annoio e facciamo giorno, come si suol dire), li elenco in ordine sparso:

-Inaugurazione del monumento a Fabrizio Meoni
-Gita all’isola del Giglio
-Raduno LC8.org sulle Dolomiti
-Traveller’s Camp

 

-Inaugurazione del monumento a Fabrizio Meoni

Fabrizio Meoni ha lasciato un grande vuoto nel cuore degli appassionati quel maledetto giorno nel deserto della Mauritania.
Era un personaggio molto amato, non solo per le sue gesta sportive, ma anche e soprattutto per il suo modo di essere, schietto e caparbio ma con un cuore enorme.
Quel cuore che l’ha spinto a piangere, sul podio della Dakar, guardando i bambini sporchi e malnutriti sotto al palco.
Quel cuore che l’ha portato, prima della sua scomparsa, a costruire qualcosa per quei bambini e per la terra che amava.

“…L’Africa mi ha dato tanto, è giusto che io restituisca qualcosa all’Africa per aiutare i più deboli”, disse.

La fondazione che prosegue la sua opera (e porta il suo nome) ha realizzato, fra le altre cose, tre scuole a Dakar.

A 12 anni dalla sua scomparsa, il comune della sua città ha voluto rendergli omaggio con una statua realizzata da Lucio Minigrilli, la cui gestazione è durata due anni, che lo ritrae mentre affronta una duna in sella alla sua KTM.
Tantissima gente è accorsa il 14 maggio a Castiglion Fiorentino, a testimonianza di un affetto rimasto immutato negli anni, e il rombo delle moto al limitatore mentre la statua veniva scoperta è stata la colonna sonora di un momento veramente emozionante.
Così come per me ad alcuni amici è stata emozionante anche la giornata precedente all’inaugurazione.. abbiamo pranzato e passato il pomeriggio con gli amici di Fabrizio che ci hanno raccontato aneddoti e pezzi di vita, quelli che non leggi sui giornali e che ti fanno capire ancora meglio che gran persona fosse il “Cinghiale”. E che dopo ci hanno accompagnato al cippo a lui dedicato collocato vicino al Passo della Foce, in mezzo ai sentieri dove si allenava.

L’articolo della Gazzetta

Il sito della Fondazione Fabrizio Meoni 

La pagina Facebook del Motoclub Fabrizio Meoni


-Gita all’isola del Giglio

Visto che quest’anno il primo Maggio cadeva di lunedì, abbiamo colto l’occasione per prendere le moto e fare una gitarella all’Isola del Giglio, a qualche anno dal fattaccio della Costa Crociere.
Non eravamo mai stati sull’isoletta, e c’è da dire che forse ha poco senso andarci in moto (ci sono pochissimi chilometri di strade) se non per la facilità di spostamento (e il prezzo del traghetto più basso rispetto all’auto)..
Non c’eravamo mai stati, e abbiamo colmato la nostra lacuna con grande piacere.
Soprattutto fuori stagione l’Isola del Giglio è carinissima, se vi piace camminare a piedi ci sono molti sentieri, il mare ovviamente è bellissimo, e si mangia bene.
Noi alloggiavamo in un piccolo appartamento a Giglio Castello, proprio nel cuore del borgo, un paese da visitare gironzolando senza meta nelle stradine, in mezzo alle case di pietra, godendo degli scorci suggestivi che appaiono all’improvviso..
Molto piacevole è stato anche il particolare aperitivo in cui siamo stati coinvolti dalla titolare del negozio di alimentari dove stavamo facendo la spesa..
Un aperitivo in vigna, con un panorama splendido e un vino notevole (l’Ansonaco) prodotto proprio da quei filari, che ci ha dato l’occasione di una piacevole chiacchierata a proposito delle difficoltà di vivere lì, di coltivare, di crescere i figli, e di come nonostante tutto quelle persone amino e siano affezionate alla loro terra.

Qui trovate qualche foto 🙂

 

-Traveller’s Camp

Evento molto particolare, giunto alla sua quarta edizione, che vuole rappresentare un punto di incontro per motoviaggiatori, un meeting in cui ognuno porta un po’ della sua esperienza, dove ci si scambiano idee, opinioni, proposte, racconti, o semplicemente si fanno quattro chiacchiere con vecchi e nuovi amici.
Quest’anno (il primo, per me) si è svolto al villaggio ecologico di Granara, vicino a Valmozzola, in provincia di Parma.
Una situazione molto “easy”, con toilette ecologiche, docce quasi all’aperto (con acqua riscaldata dal sole, e in quei giorni ce n’era tanto), e le tende montate liberamente in un campo.
A rendere surreale la location, un.. tendone da circo.
Esatto, un tendone vero e proprio, dove si sono svolti gli incontri con i motoviaggiatori scelti per raccontare le loro storie.
Vi metto il link con l’articolo di Totò le Motò sul sito di Motoadventure, visto che non saprei raccontarvelo meglio 🙂

-Raduno LC8.org sulle Dolomiti

Anche quest’anno il raduno del forum è andato alla grande.
3 giorni nella splendida cornice delle Dolomiti, con base a San Martino di Castrozza all’Hotel “La Montanara”, coccolati dall’albergatore-motociclista che oltre ad accompagnarci durante il giro, ci ha fatto trovare pure la carta igienica “Orange” ^_^
Ottimo cibo, belle curve, vecchi amici, nuove conoscenze, birra, risate, cazzeggio. Menu completo, direi 🙂
La possibilità di partire con un giorno di anticipo ci ha dato la possibilità di goderci il raduno al meglio, ed anche di fare una salitina a cima Rosetta ed ammirare le Dolomiti “da sopra”, invece che dal basso 🙂
Peccato per il ricordino di 137 euro recapitato a mezzo raccomandata in busta verde, ma son cose che capitano.. 🙂

Questo è il video del raduno..
https://youtu.be/ZvP-gCSlFHw

Il sito dell’ Hotel
http://www.hotelmontanara.it/
…the bad..

Per quanto riguarda le cose meno belle, purtroppo devo raccontare anche di un incidente che ci ha coinvolto al ritorno dall’inaugurazione della Statua a Fabrizio Meoni.
La dinamica, purtroppo, sempre la stessa di tanti altri, ovvero una strada laterale che si immette sulla provinciale, un’auto ferma allo stop, io che faccio i fari, suono il clacson, rallento, inizio a spostarmi al centro della carreggiata, l’automobilista alla guida che oltre a non sentirmi non si degna minimamente di guardare dalla mia parte e scatta dallo stop mentre sono praticamente davanti al suo cofano.
C’è mancato un pelo, eravamo quasi salvi, ma purtroppo l’auto mi ha colpito nello spigolo valigia destra.. ho cercato inutilmente di tenere la moto in piedi, ma la conseguenza del controsterzo è stato un piccolo high-side che ci ha sbattuto a terra.
La zavorrina ha preso una bella botta alla schiena, ed è stato necessario un controllino in ospedale mentre io sbrigavo le pratiche “burocratiche”..
Alla fine ce la siamo cavata con poco.. un po’ di dolori sparsi, un gran bello spavento per la povera passeggera, un po’ di vestiario e ferramenta da ricomprare (e per quanto riguarda le valigie poi aprirò un capitolo a parte), ma la povera moto da gran guerriera si è comunque rialzata ancora una volta e mi ha riportato a casa.
Alla fine, anche se sembra una frase fatta, è andata decisamente bene.

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Il verde, il Verdon e la gondola…

Da qualche tempo non macinavo un numero ragionevole di chilometri, complice anche la pausa più o meno forzata dopo la scivolata.
E io, se sto troppo tempo senza andare seriamente in moto, divento una brutta persona, lo sanno tutti.. 😉
La ricetta per evitarlo è semplice: prendi il primo weekend lungo disponibile (ovvero quello di Pasqua), cerchi una meta che consenta un rientro “in giornata” (che la mattina poi c’è da lavorare), aggiungi un amico che non vedi da tanto (troppo) tempo, et voila, problema risolto 🙂
La meta scelta sono state le classiche (ma sempre meravigliose) Gole del Verdon, perfetto connubio fra una natura spettacolare e delle strade da piega niente male.
Ovviamente, come spesso succede quando pianifichi accuratamente qualcosa, gli imprevisti son sempre dietro l’angolo. E nel mio caso ce n’erano erano addirittura due ad aspettarmi.
Il primo si è manifestato all’andata, sul Colle della Maddalena, dove la frizione per poco non mi ha abbandonato.
Piccolo excursus: quando sono scivolato a febbraio ho preso una botta sul comando frizione, come testimonia la grattata sulla leva. Avevo notato una perdita di liquido sospetta, ma una volta pulito il tutto, girandoci non avevo notato altre fuoriuscite, quindi non mi sono preoccupato di comprare il kit per rigenerare la pompa.
Grave, gravissimo errore.
Salendo verso la Maddalena, ad un certo punto ho notato che la frizione staccava in modo strano e aveva un po’ di corsa a vuoto. Quando mi son fermato per controllare, mi sono accorto del disastro.. carena e paramano cosparsi di liquido fuoriuscito dalla pompa.
“Poco male”, ho pensato.. “alla fine non è un problema grave, non rimango a piedi”.
E poi “io guido sopra ai problemi” (cit.)
Così ho limitato al minimo l’uso della frizione, riservandola per le reali necessità, percorrendo inizialmente metà dei tornanti in terza (e dicono che l’LC8 è scorbutico :p ), poi guidando direttamente senza frizione (anche in scalata) per una trentina di chilometri, ovvero fino al primo paese ragionevolmente abitato, dove mi son precipitato dal benzinaio a comprare una boccia di liquido LHM (quello per le sospensioni delle Citroen).

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“perfetto, è di quello buono!”

Rabboccato la vaschetta della frizione (ormai quasi vuota) col prezioso liquido verde Kriptonite, son ripartito, era rimasta un po’ d’aria nel circuito ma funzionava, quindi non mi son preoccupato di spurgare.
La pompa ha continuato a perdere ma poco, consentendomi di rientrare senza aggiungere altra brodaglia.
Problema risolto brillantemente.
In compenso adesso ho una scorta di liquido LHM sufficiente per il prossimo lustro, visto che la boccia acquistata era da un litro..
Ah, se vi succedesse, potete buttare nella vaschetta della pompa frizione praticamente tutto, anche olio motore di bassa qualità, purché minerale. NON metteteci l’olio dei  freni, rovinereste tutti gli o-ring.
Ad ogni modo, tutto è proseguito meravigliosamente fino alla mattina della partenza, quando mi sono accorto di una piccola goccia sotto al forcellone, in corrispondenza del mono.
Ispezionando, ho constatato che si trattava effettivamente di una perdita d’olio (le altre ipotesi, che andavano dalla pipì di qualche animale a un eccesso di guazza mattutina appozzata nella cavità del forcellone, effettivamente erano un po’ improbabili)
Il mono era stato completamente revisionato un mese prima, ma purtroppo la tenuta aveva ceduto e stava trafilando dallo stelo.
Pazienza, son partito e via.
Per un po’ non ho avvertito differenze significative alla guida, e mi son pure divertito, poi ad un certo punto mi son fermato per fare una foto e quando ho tolto la moto dal cavalletto ho sentito un “TOC” al momento dell’estensione dell’ammortizzatore, rimasto ormai con poco olio.
Per farla breve, ho fatto gli ultimi 300 chilometri con il mono completamente senza freno idraulico in estensione. Senza idraulica, l’ammortizzatore risale dalla compressione usando solo la molla, sparando in su il culo della moto (e il sovrastante pilota) piuttosto velocemente ad ogni avvallamento. In pratica, sembra di essere in gondola.
Per limitare il problema almeno in autostrada e rientrare a una velocità decente, ho precaricato assai la molla (limitando l’affondamento), ottenendo una moto “quasi” guidabile almeno fino ai 130, anche se in curva sembrava di avere le gomme sgonfie.
Arrivare a casa è stata una liberazione, devo ammetterlo 🙂
Inutile dire che appena arrivato, subito dopo la doccia ho smontato il mono, portato dal meccanico il giorno dopo..

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Testimonianza di un disagio. Grosso.

E il grande Claudio di CZ corse mi ha rimandato a casa il martedì sera stesso col mono revisionato di nuovo, al momento, dopo aver recuperato la tenuta in uno scatolone.. grandissimo davvero!
In pratica sono rientrato lunedì sera con la moto che gocciolava da tutte le parti e mercoledì sera era già in perfetta forma (il concessionario aveva disponibile il kit per la pompa frizione).. quando si dice l’efficienza 🙂
Per il resto.. un bel weekend di pieghe, tante chiacchiere, cazzeggio, cibo e relax, in cui la preoccupazione più grande è stata riuscire ad assaggiare l’Amandine (un liquore alle mandorle tipico dell’alta provenza) e portarne a casa una bottiglia  🙂

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Adattarsi allo stile di vita locale sorseggiando Pastis 🙂

Le foto le trovate qui 🙂

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Il giro completo, circa 1350km 🙂

“Datemi un benzinaio!”

Rubo il titolo ad un pezzo un po’ datato di Daniele Silvestri per intitolare l’articolo.. 🙂
Uno dei difetti della cammellona made in KTM è decisamente l’autonomia.
Se non andate costantemente a spasso a velocità “umarell sulla panda”, con i consumi dell’LC8 il chilometraggio prima che scatti il panico da riserva è decisamente ridotto per una moto da viaggio.
Il mercato offre diverse soluzioni, dai maxi serbatoi da 45 litri a quelli posteriori da montare al posto dello scarico (il che implica, manco a dirlo, la modifica con un monoscarico), un interessantissimo serbatoio sottosella da 7 litri (che possono montare solo le Adventure prive di ABS e ha il difetto di eliminare il fondamentale vano porta attrezzi) e i serbatoi posteriori ispirati alle moto da rally (bellissimi, soprattutto quelli prodotti da Landmark.works, ma con cui si perdono le pedane per il passeggero).
Ovviamente noi peones ci arrangiamo con le taniche, di varia foggia e posizionate nei modi più impensabili.
Qualche anno fa avevo acquistato in germania due tanichette da 1,5lt, con asole per il fissaggio, e avevo costruito due attacchi per montarle sulle valigie in alluminio.
Il problema è che le mie valigie nella parte posteriore hanno i meccanismi per l’apertura e lo sgancio e le tanichette avrebbero interferito, quindi decisi di metterle davanti.
Per quanto abbastanza riparate, la loro posizione non mi ha mai convinto troppo e non le ho mai usate.
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L’altro giorno mi son capitate in mano e, osservando bene, mi sono accorto che con gli scarichi Leovince (all’epoca avevo le stufe originali) forse avrei avuto lo spazio sufficiente per piazzare le taniche all’interno delle valigie, in posizione decisamente più riparata.
Un paio di rapide prove, il tempo di elaborare un sistema di fissaggio rapido e indolore, ed al grido di “si.. può.. FA-RE!” mi son messo al lavoro.
In pratica le due tanichette si appoggiano al telaietto, trovando un incastro quasi perfetto nelle due guide in alluminio situate dietro le valigie, quelle che servono per agganciarle.
E’ bastato fare due asole nelle suddette guide, necessarie per passarci la cinghia di fissaggio, per sistemare il tutto.
Come si fanno le asole?
In vari modi, a seconda degli utensili che avete a disposizione..
Io, dopo averne segnato la posizione, ho fatto due fori da 3mm alle estremità che ho poi collegato usando il dremel e l’utensile da taglio (e una pazienza degna di un monaco amanuense).
Per rifinire la scanalatura ho usato la fresetta per il dremel, e poi smussato gli spigoli con la cartavetra.

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Come si vede ci vanno precise, non toccano da nessuna parte, restano fermissime, il peso grava soprattutto sul telaietto e avendo scarichi aftermarket il calore non rappresenta un problema.
Inoltre la cinghia di fissaggio con la “fibbia” metallica si allenta in un attimo, permettendo di sganciare le valigie (e rimetterle) senza togliere le taniche.
Vi starete domandando se vale la pena sbattersi così tanto per tre litri di benzina.
Secondo me si.
Alla fine con tre litri, guidando tranquilli (e se arrivate ad aver bisogno del contenuto delle taniche credo che sia il caso di farlo) si riescono a percorrere almeno 45km (se ne fate meno i casi son due: guidate da cani o avete la moto carburata/mappata “ad minchiam”), che non son pochi e permettono, insieme alla riserva della moto, di raggiungere tranquillamente i fatidici 300km di autonomia reale.
Certo, i serbatoi aggiuntivi sono un altro pianeta, ma se consideriamo il costo delle taniche (circa 14 euro ciascuna) alla fine mi sembra un buon compromesso.. 🙂

QUI trovate le tanichette in questione, QUI il link per i bellissimi serbatoi posteriori, se volete fare le cose in grande 🙂

“Shit happens”, a volte.. :)

Dunque, dov’eravamo rimasti?
Ah si.. ai lavoretti vari fatti sulla moto.
Magari qualcuno di voi si starà chiedendo “si, ma alla fine la moto come va con le sospensioni rifatte e tutto il resto?”.
Beh, la risposta posso darvela adesso, visto che finalmente sono riuscito a fare un po’ di chilometri (solo asfalto) e qualche curva come dico io.
La risposta è “decisamente molto, molto bene”. 🙂
Considerando che prima dell’intervento avevo mono e forcella tarati su “sport”, adesso mi trovo molto bene col settaggio “standard”, il che lascia capire abbastanza bene la differenza.
Da quel settaggio ho solamente variato il freno in estensione della forcella, chiudendolo di un click, perché a mio parere risaliva troppo velocemente.
Per il resto.. la frizione friziona, il freno frena.. tutto nella norma insomma 🙂

Purtroppo non sono riuscito a fare molti chilometri perché nella prima uscita, a febbraio, ho avuto un piccolo inconveniente che mi ha tenuto fermo per un mesetto.
Ve la faccio breve: io e la zavorrina stavamo rientrando da un bel weekend in Lunigiana quando, uscendo da un paesino della Garfagnana, la macchina davanti a noi ha letteralmente inchiodato in mezzo ad una “S” sinistra-destra a causa di un’auto che stava arrivando completamente contromano.
Appena mi sono accorto che l’auto si era fermata ho sfiorato il freno mentre eravamo ancora piegati e (grazie al famigerato asfalto della Garfagnana) ci siamo ritrovati a strisciare sull’asfalto.
Eravamo distanti dall’auto che ci precedeva e andavamo veramente piano, più o meno 50 all’ora, quindi fortunatamente non abbiamo sbattuto da nessuna parte.
Io me la sono cavata con una bella botta al gomito e una costola incrinata, la zavorrina con un po’ di dolore al braccio, la moto con una freccia rotta, qualche graffio, la valigia bozzata e il cupolino rovinato.
L’auto che saliva contromano, ovviamente, ha pensato bene di non fermarsi e continuare per la sua strada, ma forse è stato meglio così (per il conducente, intendo).
Chiaramente io indossavo una giacca fighissima, nuovissima (era la seconda “uscita”), bellissima, che ha fatto egregiamente il suo dovere ma che adesso dovrei buttare (ma su questo apriremo un’altra parentesi).
Ad ogni modo, la moto è stata rimessa in forma smagliante dopo pochi giorni.
Il paramano sinistro era conciato male, così ho riesumato dallo scatolone gli originali e li ho sostituiti.
Sulla carena ho lisciato un po’ i graffi e applicato del vinile adesivo nero (già presente anche prima), ottenendo un buon risultato con pochissima spesa.
La valigia, come al solito, è stata sistemata con l’ausilio di un martello in gomma e un po’ di pazienza.
La freccia l’ho dovuta comprare, quella si.
Il lavoro più grosso è stato quello per sistemare il cupolino, che all’epoca avevo scelto di comprare in vetroresina (anziché in carbonio) proprio per la facilità di riparazione.
Ho applicato dello stucco per vetroresina dove c’erano le crepe, carteggiandolo una volta secco, e nel punto dove il cupolino era stato “mangiato” dal contatto con l’asfalto (lo spigolo destro) l’ho ricostruito usando un kit vetroresina.
In pratica ho fatto tre piccole pezze di tessuto, l’ho applicato nell’angolo “mancante” eccedendo la sagoma per poi ritagliare il tutto con precisione una volta indurito, usando il dremel.
Infine ho carteggiato e verniciato (4 mani) usando della vernice nero opaco.
Assalito dalla pigrizia, quando è arrivato il momento di rifare gli adesivi ho adottato una soluzione molto “minimal”, che alla fine (pur essendo nata come provvisoria) non mi dispiace affatto 🙂

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Il risultato finale, con la grafica “minimal”. Si vede anche la barra a led, piccola ma efficace 🙂

Visto che ho dovuto smontare il cupolino, ne ho approfittato anche per aggiornare il reparto luci, sostituendo i 4 led usati per la marcia diurna con una barra da 12cm *molto* luminosa, installata su un supporto disegnato per l’occasione e stampato in ABS. 🙂

Parentesi giacca.
Il capo in questione era una bellissima Spidi 4 Season H2OUT, acquistata dopo innumerevoli prove e valutazioni per le sue caratteristiche.
Un capo davvero 4 stagioni, con all’interno un piumino (da usare anche come capo a parte), la membrana impermeabile (utilizzabile anche assieme al piumino), e delle prese d’aria enormi sparse per tutta la giacca, in modo da poterla usare d’estate come fosse una traforata.
Vestibilità perfetta, ottimi materiali, un paio di difettucci, ma ne ero contentissimo.
Ovviamente nella caduta ha fatto egregiamente la sua parte, evitando danni consistenti al sottoscritto (per dire, il gomito ha preso una botta così forte da farmi ancora un po’ male e avere problemi di sensibilità), ciò che mi ha un po’ deluso è stato il “dopo”.
Ho contattato la Spidi inviando le foto e chiedendo se fosse possibile effettuare una riparazione, alla fine la membrana impermeabile è venduta come ricambio e sarebbe bastato sistemare la cordura esterna… come si vede dalle foto, il danno non era poi così esteso, un bel pezzo di tessuto cucito sopra sarebbe bastato..


Mi è stato risposto di passare attraverso un rivenditore, il quale dopo 2 settimane non ha ricevuto alcuna risposta.
Ho nuovamente contattato la Spidi facendo presente la cosa, e mi hanno consigliato di inoltrare la conversazione ad un indirizzo mail.
Dopo poche ore mi ha contattato il rivenditore, dicendo che l’avevano chiamato dalla Spidi per spiegare che il ritardo era stato dovuto ad un non meglio precisato “problema di posta elettronica” e che a seguito della telefonata gli avevano risposto (30 secondi dopo aver visionato le foto, una valutazione attentissima direi) tramite mail e dato esito negativo alla richiesta.
Avrebbero potuto dire subito (dopo il mio primo contatto con foto, le stesse inserite sopra) che quel tipo di riparazioni non veniva eseguito e farmi risparmiare tempo, a mio parere.
Nessuna grossa polemica, ci mancherebbe, solo una leggera delusione.
Inutile dire che la giacca ha già una degna sostituta (di un’altra marca), di cui farò una bella recensione appena l’avrò “torturata” un po’ 🙂

Ad ogni modo adesso si iniziano a pianificare un po’ di giri visto che la bella stagione è arrivata, cercando di sfruttare al massimo ponti e weekend.. il letargo è durato fin troppo, è ora di tornare a macinare chilometri! ^_^

..works for the long road ahead.. ;)

Eccomi qua!
Purtroppo sono stato “assorbito” da vicissitudini varie, anche lavorative, che mi hanno tenuto impegnato per un po’ e lontano dal blog.. prometto di rifarmi eh! ^_^

Ok, che è successo di nuovo nel frattempo?
E’ successo che giunto all’alba del 113.000km (112.500 per la precisione) ho deciso che, approfittando anche del presunto arrivo della brutta stagione (che poi in realtà finora si è vista poco, ma vabbè), era giunto il tempo di fare qualche lavoretto alla moto.
Una rapida analisi mi ha portato ad individuare le seguenti operazioni, in ordine sparso.

-Cuscinetti ruota posteriore (quelli della ruota anteriore me li ha cambiati Bartubeless quando ho sostituito la lama, mosso a compassione. Uno dei cuscinetti ormai lavorava a scatti, tre per la precisione.)

-Disco freno posteriore.

-Gruppo frizione (ebbene si, era ancora quella originale)

-Revisione completa sospensioni e cambio molle

-Sostituzione pompa freno posteriore.

Andiamo con ordine, che vi racconto tutto 🙂

-Cuscinetti.
Come prima cosa, quando ho dovuto cambiare le gomme (dopo aver fatto fuori una Dunlop Trailmax anteriore in poco più di 4500km), ne ho approfittato per cambiare i cuscinetti della ruota posteriore, mai toccati prima.
Lavoretto abbastanza facile e veloce, nulla da segnalare.
Nulla a parte che, per l’appunto, il cambio di quelle gomme a quel chilometraggio mi sembrava abbastanza inusuale. Mettendo nella ricetta anche un consumo “curioso” del battistrada e il fatto che ultimamente era cambiato il feeling col mezzo, ho unito i puntini e sentenziato che era arrivato il momento di metter mano alle sospensioni, come vedremo dopo.

-Disco freno posteriore.
Storia travagliata quella del disco.
Il primo, originale, l’ho dovuto buttare dopo poco più di 40.000km perché i nottolini si erano allentati e il disco era diventato fin troppo flottante.
Sostituito con un altro originale, approfittando di uno sconto, mi son ritrovato (dopo altri 55.000km circa) con i nottolini in perfetta salute, ma con la pista del disco consumata e il relativo spessore sotto il minimo consigliato.
Per cambiarlo ho comprato un disco praticamente nuovo sul forum, un disco fisso, pensando che andasse bene.
Grosso errore.
Al minimo accenno di frenata fischiava che pareva di stare allo stadio, un concerto assolutamente insopportabile, a qualsiasi velocità.
Ho provato i rimedi classici, come smussare gli angoli delle pastiglie, ma nulla da fare.
L’ho tolto e rimesso quello vecchio.
Poi mi son deciso a prenderne uno nuovo, flottante, trovato ad un prezzo abbastanza onesto.

-Revisione sospensioni
Ok, non sono così cinghiale, in tutti questi chilometri un paio di revisioncine alle sospensioni gliele avevo fatte, ma considerando il mio stile di guida (vedi l’animale citato poc’anzi), il fatto che ho percorso un bel po’ di fuoristrada, le decine di migliaia di chilometri in due a pieno carico, urgeva una profonda rimessa a nuovo.
Mi son messo alla ricerca di molle sostitutive, ravanando tutto il web, ma se per le anteriori un po’ di scelta sembrava esserci, per la molla del mono non ho trovato assolutamente nulla.
Addirittura, preso da un insana voglia di sperimentare le molle progressive ho pensato pure alle Hyperpro, ma pare che la KTM Adventure sia praticamente l’unica moto per cui NON producono il kit (molle anteriori+posteriore). Vendono solo le anteriori.
Interpellati in merito, non hanno fornito spiegazioni sulla motivazione, ma han detto che forse c’era una molla compatibile a catalogo, ma gli serviva il diametro interno di quella originale.
Già ero poco convinto prima, questo mi ha chiarito le idee del tutto.
Ho preso i codici dal sito dei ricambi KTM, ho chiamato il concessionario e ho ordinato il materiale originale.
End of story.
Un mezzo salasso, ma pazienza.
Ah, già che c’ero, ho ordinato molle con K leggermente maggiore di quelle montate di serie, che male non fa 🙂
Una volta arrivato il pacco, ho smontato gli steli della forcella e il monoammortizzatore, ho impacchettato il tutto e l’ho portato da uno bravo, vale a dire CZ Corse a Ponsacco.

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La moto sul ceppo ha il suo fascino

Che dopo un paio di giorni mi ha ridotto il tutto così:

Il 23 dicembre, in leggero ritardo complice una mancata spedizione di paraoli, sono rientrato in possesso delle mie sospensioni, coccolate, lucidate, revisionate e riviste nell’idraulica. Grande Claudio!
Per la cronaca: non erano messe nemmeno così male, ho dovuto sostituire (oltre ai paraoli) solo le boccole di scorrimento!
Ovviamente mi son serbato il rimontaggio per il pomeriggio del 25, giusto per smaltire il pranzo di natale.

-Cambio gruppo frizione.
Quello me lo sono tenuto buono per il 26 dicembre, visto che serviva la moto intera e sul cavalletto laterale.
L’operazione non presenta grosse difficoltà, il pacco frizione scelto come ricambio è un kit con molle rinforzate della EBC, pagato una cifra onestissima su ebay (comprato in inghilterra).
un po’ mi è dispiaciuto togliere la frizione originale, sarei stato curioso di vedere quandi chilometri si riuscivano ancora a fare (alla fine non slittava mica, strappava solo leggermente a freddo in partenza).. 🙂

 

-Sostituzione pompa freno posteriore
Eccoci.
Vi ricordate il post dove descrivevo la modifica per aggiungere il dissipatore all’impianto frenante per cercare di eliminare il problema del surriscaldamento? Se non ve lo ricordate, lo trovate qui, andate a leggerlo di volata 😉
Ok, ad ogni modo, alla fine quella modifica si è rivelata efficace solo in parte. Nel senso che il problema, seppure in ritardo e con stress superiori, si è presentato comunque.
Oggi ho deciso di provare una soluzione drastica, ovvero la sostituzione completa della pompa freno, per metterne una con vaschetta separata.
Avevo a disposizione una pompa Brembo di provenienza Ducati Monster, credo s4 (non ne sono sicuro), che pareva adattarsi piuttosto bene.
E in effetti è stato così, ho dovuto fare solo una piccola modifica che vi decriverò fra poco.
Ad ogni modo, i fori di fissaggio combaciano perfettamente (occhio che la ex-monster non ha i fori filettati, quindi per fissarla vi serviranno delle viti di 6mm più lunghe delle originali e dei dadi autobloccanti (oltre alle ovvie rondelle).
Il tubo del freno, completo dell’idrostop, si svita dalla originale e si fissa sulla nuova senza colpo ferire, ottimo.
Per la vaschetta, vi dovrete inventare qualcosa.
Io ho scelto di fare una piccola staffa di fissaggio attaccata ad una delle viti della pedana del passeggero, in modo da mantenere la vaschetta abbastanza riparata ma facilmente raggiungibile per rabbocchi/sostituzioni di liquido.
Inoltre in quella zona dovrebbe esserci un discreto flusso d’aria.
Ad ogni modo, per la staffa ho fatto un disegno di massima col cartone, poi l’ho trasferito su un pezzo d’alluminio da 3mm, ho cambiato (ovviamente, così si lavora due volte) il disegno rispetto all’originale, e quando ho visto che la forma poteva andare ho fatto i fori.
Una lucidata all’alluminio e via, vaschetta in posizione.


Adesso arriviamo alla modifica.
La pompa “nuova” ha il pompante posizionato leggermente più in alto rispetto alla originale, quindi per frenare bisogna far scendere parecchio il pedale, anche regolando il perno di spinta nella posizione più alta.
La soluzione è abbastanza semplice, in pratica si tratta di prendere una vite di 6×100 (mi raccomando, in acciaio inox!), tagliare la testa, stondarla per bene, e sostituirla all’originale.

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Et voila, il prodotto del cantinaro 🙂 la parte stondata amorevolmente è, ovviamente, NON in primo piano..

Et voila, lavoretto finito 🙂 (a parte i 45 minuti per spurgare bene il tutto)
Vediamo se abbiamo risolto definitivamente.. 🙂

-Altri lavori.
Visto che ero in ballo, ne ho approfittato per fare un paio di ulteriori lavoretti..
Il primo è stata la relocazione dell’interruttore per le manopole riscaldate, per portarlo vicino al blocchetto sinistro.
Avevo ideato un sistema complicatissimo, poi mi sono accorto che in dotazione nella confezione c’era anche un collare per fissare il tutto ad un manubrio da 22mm.
Ovviamente sul mio non va, quindi l’avevo accantonato.
Poi l’illuminazione.. è bastato creare un adattatore da inserire sulla vite dello specchietto (una vite da 14mm), con un diametro esterno di 22. In pratica un cilindro svuotato di un esagono.
Pochi minuti per disegnarlo e dopo una ventina di minuti la mia stampante 3D mi ha fornito il pezzo necessario.. 🙂
Poi ho dovuto smontare mezza moto per far camminare i cavi, ma quella è un’altra storia..

L’altra cosa che volevo fare da un po’ era una protezione per il carter della frizione.
Nutro parecchi dubbi sulla reale efficacia in caso di urto “robusto” (per questo motivo non ho mai ceduto alle apposite protezioni in carbonio vendute a cifre folli), ma io più che altro volevo metterla per un discorso estetico, visto che il rivestimento del mio carter, nel punto in cui picchia lo stivale, se n’è andato a circa 20.000km per non tornare mai più. Insensibile.
Comunque, qualche tempo fa ho letto questo tutorial su come realizzare una protezione con il Kydex, materiale che ovviamente ho ordinato SUBITO e altrettanto ovviamente tenuto in un cassetto per mesi e mesi (troppo pigro per smontare il carter).
Visto che stavolta il carter l’ho dovuto smontare giocoforza e l’avevo a disposizione sul banco, ho deciso di procedere.
E stranamente è andato tutto bene (al secondo tentativo, lo ammetto).

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Foto di gruppo: il copricarter e la nuova pompa freno (a cui manca ancora la protezione)