Balkan trip.. vacanza col botto!

Visto che al momento di usare la moto non se ne parla a causa di un diverbio con il menisco (ha vinto lui), ma un viaggio è sempre un viaggio e vale la pena di raccontarlo anche se è passato un po’ di tempo, ne approfitto per darvi in pasto un resoconto del giro del 2014.. uno dei più particolari e dei più intensi, per diversi motivi.

Quell’anno eravamo un po’ a corto di idee, stavamo vagliando diverse ipotesi (molte delle quali incompatibili con il tempo a disposizione), finché qualche amico ci suggerì di andare nel Peloponneso e visitare Monemvasia.
L’idea ci sembrò interessante, ma decidemmo di arrivarci partendo dall’alto e percorrendo tutta la regione dei Balcani, cercando di mescolare tappe “note” a luoghi e paesi meno frequentati dal turismo di massa.
Così decidemmo di prendere il traghetto ad Ancona ed iniziare la nostra cavalcata dalla vicina Croazia, scegliendo come prima tappa il Parco nazionale dei laghi di Plitvice, patrimonio dell’Unesco dal 1979.

Scorcio dei laghi di PLitvice

Scorcio dei laghi di Plitvice

33.000 ettari di terreno, due fiumi confluenti, 16 laghi in successione collegati fra loro da innumerevoli cascate scaturite da dighe calcaree naturali, mille tonalità di verde e azzurro.
Il posto è ovviamente molto turistico, ma è uno spettacolo veramente notevole ed imperdibile.
Dopo i laghi abbiamo attraversato la Bosnia, un paese ancora in parte incontaminato, con poche industrie e molto verde, un paese immerso in una natura rigogliosa con cui spesso bisogna scendere a patti (molte strade non di grande comunicazione, utili per risparmiare chilometri, passano sulle montagne ma sono sterrate.. divertimento aggiunto per noi!).
Abbiamo passato due notti in Bosnia, una a Travnik ed una a Mostar.
Travnik ci ha accolto con un atmosfera surreale, non capita tutti i giorni di passeggiare in una cittadina con i canti coranici in sottofondo, diffusi da altoparlanti.
Nella città convivono senza alcun problema diverse religioni (musulmani, cristiani ortodossi,cristiani cattolici e una minoranza di altri culti) ed etnie, non a caso nel 1998 ha ottenuto lo status ufficiale di UNHCR Open City, ovvero città protetta dall’Alto Commissariato ONU per i rifugiati in cui la popolazione delle diverse etnie vive insieme pacificamente..

Mostar, la città vecchia

Mostar, la città vecchia

A Mostar abbiamo avuto modo di constatare, per l’ennesima volta, la follia della guerra, i cui segni sono ancora ben evidenti fuori dalla città vecchia, recuperata assieme al famoso ponte (distrutto nel 1993 durante il conflitto per il controllo della città fra i croati bosniaci e i bosniaci musulmani) nel 2004.
Il Montenegro ci accoglie con l’aspra sinuosità del Tara canyon (il secondo canyon più profondo al mondo) e la visione mozzafiato del parco Nazionale del Durmitor, un susseguirsi incredibile di montagne modellate e disegnate dall’erosione costellate di piccoli laghi, una natura dalla bellezza rara e selvaggia, una zona non ancora invasa dal turismo peggiore ma al tempo stesso viva e vitale, da godere praticando sport (alpinismo, sci, parapendio, ciclismo alpinistico, rafting..), facendo delle camminate o semplicemente, come noi, passeggiandoci in mezzo con la moto, dondolandosi fra una curva e l’altra cercando di cogliere ogni sfumatura di quell’incredibile panorama e respirando a pieni polmoni l’aria frizzante.
Dalla montagna al mare, dopo il pernottamento nel Tara Canyon abbiamo fatto tappa a Kotor, meglio conosciuta come Cattaro.
Se la città, pur molto bella, ci ha un po’ deluso per via della sua esagerata vocazione turistica (che si riflette anche nei prezzi), ciò che la circonda invece merita una vista, soprattutto dall’alto.. la città è situata nelle Bocche di Cattaro, una serie di bacini riparati dal mare che costituiscono il più grande porto naturale dell’Adriatico e che, per la loro forma piuttosto frastagliata, sono considerati gli unici fiordi del mediterraneo..

La strada che porta al monastero di Ostrog

La strada che porta al monastero di Ostrog

E poi Kotor è una buona base di partenza per un giro nell’entroterra Montenegrino, un giro alla scoperta di piccoli paesi, di monasteri (come quello di Ostrog), di microscopiche stradine secondarie transitate solo dai pastori e dai pochi residenti, di formaggi e prosciutto.
Attraversare la piccola porzione d’Albania prevista dal percorso ci ha creato qualche apprensione, visto la mancanza della copertura per l’assistenza sanitaria, e il biglietto da visita del paese non è stato proprio dei migliori: appena superata la dogana, ci siamo trovati davanti il triste spettacolo di decine e decine di persone (per lo più donne con bambini) che chiedevano soldi alle auto ferme in coda, spettacolo che si è ripetuto puntualmente ad ogni semaforo finché non abbiamo lasciato la strada principale per addentrarci nell’Ulza Regional Nature Park, che si è rivelato piacevole da percorrere e ci ha portato senza intoppi a varcare il confine con la Macedonia.
All’interno del parco ci siamo imbattuti nell’incontro più pittoresco della vacanza: fermi a bordo strada, all’ombra di un albero, la zavorrina tira fuori il pane, una busta di salame e si prepara un panino.
Dopo qualche minuto vediamo arrivare in senso contrario una vecchissima Mercedes scolorita, di un qualche blu che aveva evidentemente  vissuto giorni migliori, che strombazza il clacson e ci saluta allegramente.
Ricambio il saluto e la Mercedes svolta bruscamente, parcheggiandosi di fianco a noi, contromano. Come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Teresa inizia a preoccuparsi, io cerco di restare indifferente, saluto e sorrido.
Il personaggio, che guidava a torso nudo, si mette la maglia (gesto apprezzatissimo, vista la temperatura e il relativo sudore) e scende, blaterando qualcosa in Albanese.
Ovviamente zero inglese e fra le poche parole che conosceva in italiano c’erano “mafia”, “Berlusconi” e “Juventus”. Perfetto.
Teresa, per cercare di rompere il ghiaccio, gli porge la busta di salame con l’intento di offrirgliene una fetta. Il tipo, soddisfatto e senza farsi il benché minimo problema, ringrazia, agguanta la busta di salame e la mette in macchina!
Per farla breve, alla fine non abbiamo capito esattamente cosa volesse.. continuava a ripetere il suo nome e quello di un posto, “Nikolin, Shkopet!!”, probabilmente aveva una casa da affittare lì.. gli abbiamo fatto capire che stavamo andando in Macedonia, e lui ha risposto “Macedonia! Poi dopo, Shkopet!”.

..una birra è sempre una buona idea :)

..una birra è sempre una buona idea 🙂

Alla fine ha voluto i nostri numeri di telefono (ovviamente non gli abbiamo dato quelli veri), ci ha lasciato il suo, e ci ha salutato calorosamente, con una stretta di mano Teresa e con un abbraccio e due baci il sottoscritto (che fortuna, eh!) come se fossimo vecchi amici.
Abbandonato il nostro folcloristico amico, siamo entrati in Macedonia, e dopo aver scartato Debar per il nostro pernottamento (non sembrava un granché), abbiamo fatto una tirata unica lungo la bella e gustosa statale R1201 e ci siamo concessi due notti a Ohrid, una gran bella sorpresa.
Città veramente carina (e ricca di storia) adagiata sulla riva orientale dell’omonimo lago, vivace, turistica ma non caciarona, con i negozi aperti fino a mezzanotte (compresi i barbieri, dove la gente si ritrova anche di sera per chiacchierare), un mercato coperto piuttosto grande dove si trova di tutto (dai generi alimentari agli articoli da ferramenta, passando per vestiti e scarpe) e un centro chiuso al traffico che arriva fino alla riva del lago dove è piacevolissimo passeggiare.
Ovviamente abbiamo visitato anche la fortezza di Samuil, che sovrasta la città, una delle più imponenti fortificazioni dei Balcani con una cinta muraria (tuttora integra) alta 16 metri e lunga 3 km, che ci ha offerto uno splendido panorama sulla città e sul lago.
Anche qui a Ohrid abbiamo incontrato un personaggio niente male, che appena arrivati in città ci ha letteralmente inseguito con la bicicletta (sfoggiando un’agilità insospettabile) fra un semaforo e l’altro per offrirci una stanza.. stanza che abbiamo accettato visto che il prezzo era ottimo, la posizione perfetta (e stranamente corrispondente alla descrizione) e il signore affidabile e simpatico 🙂
Lasciamo un po’ a malincuore la Macedonia per dirigerci verso la Grecia, la nostra prima tappa in terra ellenica saranno le Meteore.
Il tragitto non è lungo, e queste incredibili meraviglie della natura si svelano ai nostri occhi mano a mano che ci avviciniamo a Kalambaka, la nostra meta.
Troviamo un campeggio molto carino vicino al paese, scarichiamo i bagagli, montiamo la tenda, risaliamo sulla moto e facciamo il giro per ammirare le meteore da sopra, percorrendo la strada che ci gira intorno.

Le Meteore

Le Meteore

I monasteri ortodossi (ce ne sono sei ancora intatti dei 24 originari, di cui due ancora abitati da suore) costruiti su quegli spuntoni di roccia arenaria che paiono spuntati dal nulla, emersi dal sottosuolo, sono impressionanti da vedere, forse uno dei luoghi più straordinari del mondo.
La cittadina di Kalambaka non offre grandi spunti, ma ha la fortuna di essere collocata nel posto giusto per vivere del viavai di turisti che vengono ad ammirare le meteore.
Il tragitto del giorno dopo, che ci porta nel Peloponneso, si snoda per lo più su strade secondarie e di montagna. Sulla carta i chilometri da percorrere non sono molti, ma su queste stradine tempi di percorrenza si dilatano.
Il caldo tremendo inizia a farsi sentire e lungo il percorso ci fermiamo ogni volta che troviamo una fontana per bere, rinfrescarci e riempire le bottiglie (ovviamente il camelback è rimasto a casa.. furbissimi, noi).
Scendendo verso sud attraversiamo un bellissimo parco, dal nome impronunciabile (“An. Klitys-Oros Tymfristou“, insomma questo qui), e vicino a Gavros ci fermiamo a pranzo in un locale abbastanza tipico, di quelli dove vai davanti allo spiedo e ti scegli da solo la carne..
Dopo aver mangiato cosine leggere come agnello e salsicciotti ripeni di fegato, proseguiamo (a fatica) verso sud e finalmente vicino a Pitsineika intravediamo, in lontananza, il mare.. 🙂
Attraversiamo l’imponente ponte di Patrasso (ponte Rion Antirion, già soprannominato “Ponte di Poseidone”), che con i suoi quasi 3km è il ponte strallato più lungo del mondo, e ci mettiamo alla ricerca di un hotel.
Ancora non sappiamo che in quell’albergo ci torneremo qualche giorno dopo..
La mattina seguente partiamo di buon ora, per arrivare a Monemvasia c’è da attraversare tutto il peloponneso e ripetere la solita via crucis di fermate ad ogni fontana per via del caldo.
Il paesaggio in questa zona non offre molto, scendiamo rapidi passando per Lampeia, Levidi, Sparta, ed arriviamo a Gefira nel primo pomeriggio, con tutto il tempo per rilassarci 🙂
Troviamo una stanza (non ci sono campeggi nelle vicinanze) proprio nel centro del paese ad una cifra accettabile, parcheggiamo la moto, scarichiamo tutto, ci sistemiamo ed andiamo a gironzolare per il paese e fare spesa per la cena.
E ci scappa pure un bel bagno in mare al tramonto 🙂
Il terrazzino della camera è perfetto per cenare, cuciniamo sfruttando l’attrezzatura da campeggio e ci godiamo l’atmosfera di totale relax, coadiuvata dalla grappa che avevamo messo al fresco nel freezer 🙂

Eccoci arrivati a Monemvasia! ;)

Eccoci arrivati a Monemvasia! 😉

La rocca di Monemvasia (soprannominata la Gibilterra del Mediterraneo orientale), per quanto turistica, è una piccola perla.. arroccata su uno scoglio, collegata alla terraferma da una striscia artificiale di terra lunga 400 metri, con un unica porta di accesso (Il nome del borgo deriva proprio da due parole greche, “mone” e “emvassi”, che significano “singolo” e “ingresso”), è veramente ben conservata.
Gli edifici del borgo sono interamente costruiti in pietra, si possono trovare influenze veneziane, bizantine e turche, e i suoi vicoli lastricati strettissimi (animati da locali, negozi, hotel e ristoranti un po’ troppo costosi) offrono scorci molto suggestivi e fanno venire voglia di perdersi in quel dedalo di stradine d’altri tempi..
Due giorni in questo piccolo paradiso, ed è tempo di puntare la ruota della moto verso nord ed iniziare il riavvicinamento.
I nostri piani sono di fermarci due notti da qualche parte vicino a Patrasso e fare un paio di giorni di mare/sdraio/mojito prima di imbarcarci per tornare a casa.
Non scegliamo un posto preciso, iniziamo a risalire percorrendo la costa occidentale del Peloponneso fino a Kalamata, poi tagliamo passando nell’aspro entroterra per ritrovare il mare a Kalo Nero, gustandoci il paesaggio ed i paesi.
Saliamo ancora lungo la costa, ed arrivati all’altezza di Amaliada avvistiamo un campeggio sulla spiaggia che sembra perfetto.
Ci accampiamo, ci buttiamo in spiaggia, facciamo un bagno rigenerante e nel tardo pomeriggio prendiamo la moto per andare in paese a prelevare e fare la spesa.

E qui avviene il fattaccio.

Arriva il “momento del bischero”, come l’ho definito nella nota scritta all’epoca su Facebook, che riporto pari pari..

Il momento del bischero

“Lo chiamano in molti modi.. karma, legge del contrappasso, e via dicendo… ma dalle mie parti per definire certe situazioni si usa una frase semplice e decisamente esplicativa, ovvero “il momento del bischero”.
Cos’è il momento del bischero?
E’ quando fai una cazzata, consapevole del fatto che è una cazzata, e invece di andarti bene ti succede qualcosa. Ecco, quello è il momento del bischero.
Il nostro è stato pochi giorni fa in Grecia, precisamente ad Amaliada, il terz’ultimo giorno di ferie.
Tutti sanno quanto vada ripetendo da sempre dell’importanza dell’abbigliamento tecnico in moto, che l’asfalto fa male, che le croste sono una rotta di coglioni, e quant’altro.
Benissimo.
Infatti di solito lo indosso sempre.
Pero’ poi succede che una fottuta volta vieni via dalla spiaggia, bello rilassato, e realizzi che per comprare la cena servono i soldi visto che il market del campeggio non accetta le carte.
Sempre bello rilassato, dici “ok, andiamo in paese al bancomat”.
E aggiungi “andiamo così, tanto son solo tre chilometri”.
E prendi la moto e parti, in sandali, pantaloncini ancora umidi e maglietta. E casco, quello si, anche se non lo usa nessuno.
Sai che è una stronzata, ma un po’ di leggerezza ogni tanto, e che cazzo.
Ma il momento del bischero è lì, in agguato, pronto a fare ufficialmente di te un gran bischero, per l’appunto.
E succede che arriva.
Mentre cerchi di capire dove svoltare e dove non svoltare in un dedalo di strade perpendicolari con divieti assortiti, evidentemente troppo rilassato, senti la voce della zavorrina che ti grida “lo stoooop!”. Vedi il motorino che arriva da sinistra, freni, la moto sull’asfalto liscio schizza via come se avessi sotto il linoleum, e in un attimo la botta tremenda contro lo scooter verdognolo (bruttino, peraltro).
Ecco, intanto che tu, volando per terra, pensi “CAZZO! CAZZO! CAZZISSIMO! CAZZO!” (cit.) realizzi che è arrivato il momento del bischero, e sarà un pessimo momento.
Per farla breve, diciamo subito che a parte la botta (con conseguenti dolori in posti improbabili) e la notte in ospedale per accertamenti alla povera incolpevole zavorrina, ce la siamo cavata con relativamente poco, giusto qualche bella grattata con ferite da coccolare amorevolmente per i giorni a seguire.
La kappona, da gran combattente, non ha versato nemmeno una lacrima sull’asfalto e una volta rimessa in piedi con due lavoretti ci ha riportato a casa senza problemi.
Il motorino verdognolo è andato praticamente distrutto, ma tanto era bruttino, davvero.
Il conducente del motorino brutto se l’è cavata con qualche escoriazione anche se non aveva il casco, ma a ricordargli che doveva metterlo ci hanno pensato i poliziotti appioppandogli un verbale da 300 euro (più un’altro da 250, non so per cosa).”

Dopo il fattaccio, abbiamo dovuto recuperare le ultime forze per spostarci doloranti da Amaliada e passare l’ultima notte più vicini al traghetto, e siamo tornati a Patrasso nel posto che ci aveva accolto all’andata e conoscevamo bene, un hotel tranquillo e fuori dal caos, ideale per raccogliere idee, forze, leccarsi le ferite, cambiarsi le medicazioni e pianificare il rientro in traghetto (rigorosamente con passaggio ponte) in modo che non fosse troppo traumatico.

Questo è il resoconto del nostro viaggio.
Come scrivevo all’inizio, un mix di sensazioni piuttosto forte..
Le sensazioni positive, molteplici e varie, per i luoghi visti lungo il percorso e molto diversi fra loro.
Le sensazioni diametralmente opposte per quello che è successo, per l’impotenza nel momento in cui realizzi che non puoi far nulla per evitare l’inevitabile, per gli attimi di paura nel vedere la zavorrina sdraiata a terra, immobile.
La sensazione di sollievo nel capire che alla fine tutto si risolverà con un grosso spavento, un po’ di dolore e qualche segno sulla pelle che ti ricorderà sempre di non fare cazzate.
La sensazione di orgoglio per essere usciti a testa alta da una di quelle situazioni che mettono a dura prova i viaggiatori, soprattutto quelli in coppia.

Perché si, alla fine, ne siamo usciti benissimo, consapevoli, complici e rafforzati.
E con una storia da raccontare.

Siete arrivati a leggere davvero fin qui?
Benissimo, allora vi siete meritati il link alle foto (si, ce ne sono molte altre, per leggere le didascalie aprite l’immagine e cliccate sulla “i” cerchiata in alto a destra! )
Spero che vi piacciano 🙂

...la traccia del nostro giretto, circa 3600km in totale.

…la traccia del nostro giretto, circa 3600km in totale.